L'atletica italiana in ginocchio a Berlino
Si chiudono oggi i mondiali di Berlino e all’Italia resta un sapore amaro in bocca. Intendiamoci, il mondiale in sé è stato magnifico da seguire ed è sempre emozionante guardare le gare, qualsiasi sia la bandiera sventolata dal vincitore. Però un medagliere completamente vuoto e una classifica che ci vede al 19° posto su 22 lascia molti punti interrogativi a cui rispondere.Il presidente della federazione invoca una riflessione. Probabilmente più che una riflessione è ora di cominciare a puntare il dito e, senza grandi clamori e denuncie, indicare qualche responsabile di questa carneficina.
Certo non spetta a noi accusare e non abbiamo ricette pronte in tasca. Però sono anni che si parla di riflessioni e di atletica in crisi e non si vedono all’orizzonte proposte concrete.
L’atletica è in crisi, lo sappiamo, lo vediamo tutti i giorni quando entrando nelle scuole vediamo che i ragazzini non la praticano più. Lo sport, quello vero, è in crisi. Perché anche il calcio è entrato in un meccanismo malato che non possiamo più chiamare sport. L’Italia stessa è in crisi, quella economica che non permette alle istituzioni di investire sullo sport, perché ci sono altre priorità.
E allora senza guardare ai massimi sistemi possiamo almeno occuparci del nostro orticello e chiederci se il meccanismo delle squadre militari non sia ormai scoppiato. E soprattutto chiederci cosa fa la Federazione per aiutare le società civili, quelle che fanno l’atletica senza soldi e che crescono e coltivano i ragazzini fin dalla scuola elementare? Come si manda avanti una società sportiva che vive di volontariato e ogni anno rischia la chiusura, quando non ci sono impianti, attrezzature, dirigenti e spesso anche tecnici?
Non è compito nostro rispondere a queste domande. Sarebbe compito dei dirigenti, provinciali, regionali e nazionali. Dirigenti che in buona sostanza sono stati confermati alle recenti elezioni e che forse sarebbe ora che facessero un esame di coscienza.
Hanno fatto, per carità, ma probabilmente non abbastanza. E questo non lo diciamo noi, ma il medagliere di Berlino.
Certo non spetta a noi accusare e non abbiamo ricette pronte in tasca. Però sono anni che si parla di riflessioni e di atletica in crisi e non si vedono all’orizzonte proposte concrete.
L’atletica è in crisi, lo sappiamo, lo vediamo tutti i giorni quando entrando nelle scuole vediamo che i ragazzini non la praticano più. Lo sport, quello vero, è in crisi. Perché anche il calcio è entrato in un meccanismo malato che non possiamo più chiamare sport. L’Italia stessa è in crisi, quella economica che non permette alle istituzioni di investire sullo sport, perché ci sono altre priorità.
E allora senza guardare ai massimi sistemi possiamo almeno occuparci del nostro orticello e chiederci se il meccanismo delle squadre militari non sia ormai scoppiato. E soprattutto chiederci cosa fa la Federazione per aiutare le società civili, quelle che fanno l’atletica senza soldi e che crescono e coltivano i ragazzini fin dalla scuola elementare? Come si manda avanti una società sportiva che vive di volontariato e ogni anno rischia la chiusura, quando non ci sono impianti, attrezzature, dirigenti e spesso anche tecnici?
Non è compito nostro rispondere a queste domande. Sarebbe compito dei dirigenti, provinciali, regionali e nazionali. Dirigenti che in buona sostanza sono stati confermati alle recenti elezioni e che forse sarebbe ora che facessero un esame di coscienza.
Hanno fatto, per carità, ma probabilmente non abbastanza. E questo non lo diciamo noi, ma il medagliere di Berlino.
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